La Neurofisiologia delle Emozioni e della Coscienza
La Neurofisiologia delle Emozioni e della Coscienza: Ricerca Recente
Edelman, Shore, Van Gellhorn, Laborit, Quarto & Renaud, Shapiro
del Prof. Jerome Liss, M.D. (Scuola Biosistemica di Formazione)
(tradotto da Marina Saviozzi, Counselor Biosistemico, e dalla Dr.ssa Rita Fiumara)
Perche’ studiare la neurofisiologia delle emozioni e della coscienza?
Nella vita quotidiana, non dobbiamo conoscere la struttura del nostro cervello per sapere che cosa pensiamo
o sentiamo. L’umanità ha vissuto fin qui molto bene anche senza questa conoscenza.
E, per quanto riguarda la psicologia clinica, noi abbiamo avuto più di 100 anni di progresso, senza conoscere i
meccanismi e le strutture del cervello.
E’ solo negli ultimi 30 anni che la ricerca riguardante “i meccanismi del cervello” ha fatto progressi sostanziali.
Perché chiedere al ricercatore clinico di revisionare la sua conoscenza della neurofisiologia?
Infatti c’è un grande divario tra la conoscenza raccolta dalla ricerca formale nel campo della neurofisiologia –
ricerca che di solito è condotta sugli animali o che riguarda la sofferenza degli esseri umani a causa di disturbi
neurologici come ictus cardiovascolari e tumori – e le esperienze delle persone con difficoltà emotive. Ma
nonostante questo enorme divario, noi proponiamo che il connettere questi due diversi campi – neurofisiologia
e psicologia clinica, possa portare risultati fruttuosi. Come? Attraverso le loro correlazioni.
Lo scopo di questo articolo è quello di presentare una serie di tali correlazioni tra la ricerca neurofisiologica e
l’esperienza clinica.
Le correlazioni non creano prove empiriche, bensì generano solo proposte basate sull’evidenza indiretta.(1)
Tuttavia, come mostreremo nelle pagine seguenti, queste proposte basate sulla ricerca di correlazione aiutano
il clinico a focalizzare l’attenzione su alcune esperienze e sul comportamento del paziente e anche su se
stesso.
Le ipotesi possono emergere e queste spesso aiuteranno le idee cliniche già formulate su base
intuitiva. Questo è un aiuto per il ricercatore clinico.
Con così tanti modelli clinici di psicologia disponibili, quelli che sono correlati con i meccanismi neurofisiologici
possono meritare una maggiore attenzione.
In questo modo il ricercatore clinico sarà incoraggiato a sviluppare ulteriori percorsi teorici e metodologici e
allo stesso tempo porrà minore attenzione verso altre possibilità.
Inoltre questa idea, cioè che alcuni modelli clinici possono rinforzarsi e svilupparsi ulteriormente a causa
dell’incontro con modelli neurofisiologici, può trovare in se stessa un parallelo neurofisiologico: Gerard
Edelman suggerisce che i gruppi neuronali presentino una vasta diversità di percorsi (2).
In che modo il cervello “sceglie” quei gruppi neuronali che sono più adattabili? Attraverso un
meccanismo di “selezione basata sull’uso”.
Edelman indica che è la stessa teoria di C. Darwin sulla Teoria della Selezione Naturale applicata però non
alla specie, ma a particolari gruppi neuronali all’interno del cervello.
In questo modo noi stiamo proponendo che l’uso delle correlazioni tra neurofisiologia e esperienza
clinica può aiutare a determinare “la scelta” di questi modelli che sembrano essere i più promettenti
per un progresso in campo teorico e metodologico. In sintesi, determinare queste correlazioni può
aiutarci a sviluppare una “selezione naturale” riguardante i modelli psicologici “più utili”.
In questo articolo noi useremo una serie di disegni. Lo scopo è quello di mostrare un quadro chiaro del
meccanismo neurofisiologico.
I disegni inoltre aiutano a capire i complessi fenomeni nei quali esistono simultanee e reciproche interazioni.(3)
Infine, il materiale riguardante la ricerca neurofisiologica è stato preso dai lavori di Alan Schore, Bessel Van
Kolk e Gerard Edelman. (vedere bibliografia per i riferimenti)
Esperienze corticali cosciente e processi sub-corticali non – coscienti
Il cervello è formato da numerosi livelli connessi con centri neuronali distribuiti orizzontalmente e
verticalmente.
Il livello più alto, la corteccia cerebrale, contiene molte aree connesse l’una con l’altra: la corteccia visiva, la
corteccia auditiva, aree per le funzioni propriocettive, aree per il pensiero simbolico con la sua immaginazione
visiva, per la memoria, per il linguaggio, per le emozioni, per la pianificazione e per l’azione. I processi
coscienti (consapevoli) sono correlati con la scarica neuronale nella maggior parte di queste aree.
I processi non-coscienti sono correlati con la scarica neuronale nella parte più bassa del cervello, che
chiameremo area sub-corticale. Esiste una costante interazione tra i processi corticali coscienti e i processi
corticali incoscienti
Il cervello:
Esperienze corticali coscienti e processi sub-corticali non coscienti
Connessioni del Simpatico e Parasimpatico tra area corticale e area sub-corticale
Il sistema nervoso autonomo controlla le “funzioni autonome” del corpo, cioè le funzioni in cui non c’è controllo
coscientio diretto. Cioè controlla la circolazione sanguigna, il ritmo cardiaco, i processi digestivi, la
traspirazione, etc. Il sistema nervoso autonomo è diviso in un “attivatore”, la componente simpatica che
consuma energia, e in un “rilassatore”, la componente parasimpatica che rinnova l’energia.
Le funzioni Simpatiche e Parasimpatiche
Il simpatico e parasimpatico aiutano il corpo, da una parte a sostenere l’attività vigorosa (per mezzo del
dispendio di energia dell’attivatore simpatico) e in seguito aiutano il corpo a rinnovare l’energia consumata
(per mezzo del rilassante parasimpatico, o componete “recettiva”). Quale parte del cervello modifica l’ “attivo”
simpatico e il “recettivo” parasimpatico? Secondo Ernst Gellhorn (4), è l’ ipotalamo che regola queste due
funzioni. (Più avanti presenteremo la ricerca di Alan Schore che estende la mappa di Gellhorn riguardante i
percorsi neuronali che regolano le funzioni del simpatico e parasimpatico). E come interagiscono le funzioni
del simpatico e del parasimpatico? Gellhorn propone che il simpatico e parasimpatico debbano lavorare
in alternanza!
Una componente intensifica (il simpatico durante l’attività vigorosa, per mezzo della quale l’energia si
consuma) mentre l‘altro componente, il parasimpatico diminuisce. E viceversa: la funzione parasimpatica
incrementa durante il riposo, in modo da rinnovare l’energia consumata, mentre l’attivante simpatico
diminuisce.
Come accade che questo importante meccanismo che regola la fisiologia di tutto il nostro corpo, sempre sotto
il livello cellulare, possa essere disturbato? Inizia a disturbarsi quando entrambi i sistemi simpatico e
parasimpatico sono attivati allo stesso tempo. Questo è chiamato il meccanismo di ”somma” patologica
della scarica del simpatico-parasimpatico. Questo meccanismo di somma può essere paragonato al gesto
di spingere con un piede l’acceleratore di un auto e contemporaneamente spingere con l’altro piede il
freno. Diamo un comando di “VAI” e “FRENA” allo stesso momento. E il risultato? Lo stridio del motore è
come il segno del corpo disturbato dal coesistere di questi due messaggi diversi e contraddittori.
Un altro disturbo può arrivare dalla “dissociazione” tra le due componenti: in questo caso l’azione di una
componente non influenza l’azione dell’altro. Le due componenti sono totalmente “fuori sincronizzazione” l’una
rispetto all’altra.
La rabbia “Simpatica” e la vulnerabilità “Parasimpatica”
Una importante implicazione clinica è che le emozioni sono anche associate con questi due sistemi
energetici: Le emozioni attive come un “salto di gioia” sono associate con il simpatico. Le emozioni attive
possono essere anche “disturbanti” o “negative”, come ira, rabbia, frustrazione e protesta. D’ altra parte, le
emozioni recettive sono associate con il parasimpatico: la tenerezza, lo struggimento, l’innamoramento.
Anche le emozioni “recettive” possono essere difficoltose o disturbanti: sentirsi colpiti,offesi, feriti, la tristezza,
la delusione, la vergogna o il senso di perdita.(5) Queste emozioni possono essere penose ma sono utili. Esse
ci portano una informazione importante: “Cambia il tuo comportamento!” “Cambia i tuoi atteggiamenti!”
“Cambia la tua comprensione delle cose!”
La rabbia “Simpatica” e la vulnerabilità “Parasimpatica”
Dalle Emozioni Croniche (Nodo Simpatico-Parasimpatico) alle Emozioni Dinamiche
(Alternanza Simpatico-Parasimpatico)
D’altra parte le nostre emozioni possono alterarsi e divenir disfunzionali quando il Simpatico e il Parasimpatico
hanno perduto la loro normale alternanza; diventano stagnanti. In sintesi, ogni emozione può avere due
versioni: una versione dinamica nella quale è presente l’alternanza simpatico-parasimpatico, e una versione
cronica o stagnante nella quale l’alternanza Simpatico-parasimpatico è andata perduta.
Come possiamo distinguere la forma dinamica dalla forma stagnante di una emozione? Nella forma dinamica
noi notiamo un andamento simile ad un’onda, cioè, dato da una sequenza di intensificazione seguita da una
diminuzione. Questo significa che l’emozione è intimamente connessa all’andamento ondulatorio dei processi
del sistema simpatico. Nella forma stagnante o cronica, al contrario, l’emozione ha un andamento prolungato,
senza questa sequenza di intensificazione-diminuzione. Non c’è il piangere con la tristezza, con la rabbia non
c’è aumento della voce o movimenti vigorosi degli arti. L’emozione è “parlata” in modo appiattito. Forse la
persona sembra calma o forse trattenuta. In ogni caso il parlare non rinvigorisce l’emozione né la rende
dinamica.
Che cosa vediamo in una seduta clinica?
Da una parte possiamo vedere “rabbia dinamica”, con una normale ascesa e diminuzione dell’emozione.
Nella fase ascendente, la voce può essere più alta, un poco tremante, con il suono delle frasi indicatrici
“Questo è quello che ti sto dicendo!”. Un breve momento di gestualità vitale e ritmica può
contemporaneamente accompagnare l’espressione verbale.
Di solito questo potrà essere accompagnato da “sollievo”, almeno parziale e ci potrà essere un senso di
tensione ridotta, con respirazione aperta, forse anche accompagnata da un sorriso. Al contrario, quando noi
vediamo “rabbia stagnante (risentimento, amarezza, ostilità) l’alzata e la caduta della dinamica simpatica è
andata perduta. La persona sembra “controllata”, la voce esce monotona e c’è una mancanza di gesti
“vitalizzanti”.
Un altro esempio clinico: Noi possiamo avere “tristezza dinamica che è stimolata da una situazione di
perdita, con pianti o espressione vicina alle lacrime: sguardo basso, ritmo delle parole rallentato, suoni della
voce smorzati, forse il suono della voce e l’espressione della faccia sembrerà quello di un dolore che sta
prepotentemente affiorando, il dorso sarà curvato in avanti.
Quando sentiamo il pianto singhiozzante possiamo sentire “la dinamica” che sta aprendo il varco.. Abbiamo
una sensazione intuitiva della persona “che tocca il fondo” o, più spesso, che si avvicina “alla profondità
interiore”. Con il tempo, la sensazione acuta di tristezza derivante dalla ferita diminuisce, di solito con un
senso di sollievo o, per lo meno, un senso di parziale sollievo. La persona può rimanere in uno stato di
“profonda riflessione e sensitività” (dominanza parasimpatico), ma c’è un certo grado di calma come se
l’ostacolo fosse stato superato. Contrariamente spesso vedremo al’inizio del lavoro terapeutico, le persone
dimostrano segni di “tristezza cronica”. Depressione, senso di vuoto, apatia, mancanza di speranza, ritirata .
La connessione con il vitalizzante e ondulato processo parasimpatico è stato perduto, e la persona può
sentirsi imprigionata in questa camicia di forza psicologica per mesi e anni.
Dallo “Scarico Emozionale” alla “Costruzione”: Due Passi nel Processo di Guarigione
Che cosa succede alle componenti simpatico e parasimpatico del Sistema nervoso Autonomo quando
esprimiamo rabbia in un momento di frustrazione, o quando ci permettiamo di gridare in un momento di
tristezza e abbandono?
Qui di seguito le nostre ipotesi: approfondire e scaricare le nostre emozioni può creare una connessione vitale
tra l’emozione (sistema limbico) e il sistema nervoso autonomo (ipotalamo). L’ emozione vitalizzante può
stimolare la componente simpatica e parasimpatica del SNA.
Il risultato è la sostituzione di una anormale interazione tra il simpatico e il parasimpatico- forse
un’interazione che risulta “additiva” o forse “dissociata”– con una sana e dinamica interazione che è
manifestata dall’ “alternanza sincronizzata” delle due componenti. Potremmo anche chiamare questa sana
alternanza tra simpatico e parasimpatico “reciprocità” o “complementarieta”.
In altre parole, noi stiamo proponendo che esprimere l’emozione “acuta” può trasformare uno stato
emozionale cronico attraverso la stimolazione del simpatico e parasimpatico e indurre il loro ritorno ad una
normale e sana alternanza. Questo significa che “la scarica emotiva” (la catarsi) che qualche volta è stato
criticato, come uno strumento terapeutico, perché i suoi effetti non sono duraturi nel tempo, può avere un ruolo
utile nel processo psicoterapeutico. Nella Scuola Biosistemica, lo scarico emotivo è permesso e qualche volta
incoraggiato per i suoi effetti “vitalizzanti” e “allevianti”. Ma il lavoro sull’emozione non è concluso a questo
punto.
L’obiettivo terapeutico:
Ripristino della scarica reciproca fra il simpatico e parasimpatico
Un secondo passo terapeutico – “il lavoro di costruzione”- è iniziato, cosi che i benefici di vitalità e
sollievo sono canalizzati nel compito di sviluppare pensieri, atteggiamenti e comportamenti che
aiutano a risolvere il problema (6). La nostra ipotesi è che coloro i quali hanno rifiutato “lo scarico emotivo”
come un passo terapeutico non hanno approfittato dei temporanei benefici psicofisici di scarico emozionale
come un preludio per il “lavoro di costruzione”.
L’ Interazione Tra i Processi Coscienti e Non-Coscienti
Il prof. Alan Schore estende il modello di Gellhorn riguardante la condizione del simpatico e parasimpatico.7 I
percorsi neurali corrono su e giù nel cervello integrando diversi livelli come una doppia catena: il simpatico e
parasimpatico. Ecco un disegno del modello di Schore:
Percorsi simpatico- parasimpatico attraverso l’intero cervello
Ciascun livello può sia ricevere gli stimoli che emettere segnali quando interagisce con gli altri livelli. In più,
ciascun livello può anche intensificare o ridurre i suoi messaggi in modo da influenzare il processo simpaticoparasimpatico.
Possiamo dire che ogni centro è “semi-autonomo”. Questo significa che c’è una dinamica
interna, di intensificazione o diminuzione, che è parzialmente indipendente e, allo stesso tempo, una
dinamica interattiva, stimolatoria o inibitoria, che crea una parziale dipendenza tra i livelli.8
L’ampliamento di Schore al modello di Gellhorn circa i processi del simpatico e parasimpatico ha diverse
implicazioni cliniche:
- Le emozioni correlate con la dominante simpatica (rabbia, frustrazione, ribellione) o con la dominante
parasimpatica (tristezza, dolore, sofferenza emotiva) coinvolgono i percorsi neurali che coprono tutti i
livelli del cervello. - I processi corticali coscienti — pensieri, ricordi, percezioni — possono influenzare lo stato
emotivo: Il lobo frontale riceve messaggi da più parti della corteccia e invia messaggi verso il basso
al sistema limbico e al di sotto. I messaggi possono stimolare rabbia (simpatico) o stimolare
vulnerabilità (parasimpatico).
Allo stesso tempo, gli stati non coscienti sub-corticali originati nei diversi livelli del cervello possono
inviare messaggi simpatici o parasimpatici “in salita” verso il lobo frontale e per mezzo di questo
influenzare la coscienza. In questo modo i meccanismi non coscienti possono influenzare i nostri stati
emotivi coscienti.
Quindi la “medicina psicosomatica” mette in evidenza come la nostra “psiche” influenza le nostre condizioni
“somatiche” (dall’alto in basso). La medicina somatopsichica porta alla luce la situazione inversa in cui il nostro
corpo influenza il nostro stato psicologico (dal basso in alto). La teoria sistemica predice questa causalità
interattiva. La ricerca di Alan Schore presenta i percorsi neurali che dimostrano come entrambi i sistemi di
causalità siano validi.
Perché questa doppia dinamica “giù-su” e “su-giù” ha questa grande importanza? Essa dimostra che la
tradizionale opposizione tra “cause psicologiche” e “cause organiche” deve essere superata da un approccio
integrato mente-corpo.
Esempi:
1. Dalla Corteccia alla Sub-Corteccia: (dall’alto in basso)
a. Una percezione dell’ ambiente – una foto, una frase, un luogo – può “stimolare” vecchie memorie e
sentimenti che sono stati sepolti per anni e quasi interamente dimenticati. Un pensiero interiore – un’idea,
un’immagine-lampo, un desiderio, o una percezione viscerale (“il sentire nella pancia”) può provocare la
stessa cosa. Qual è il meccanismo neurofisiologico? Il processo corticale cosciente- la percezione, il
pensiero, il ricordo, il desiderio, il sentimento – invia giù messaggi al complesso dell’amigdala-ippocampo del
sistema limbico (centri che integrano emozioni incosciente e memoria). I messaggi vanno ancora più
profondamente giù ai livelli dell’ipotalamo, tegmentum e al midollo. Tutti questi livelli più bassi allora inviano
messaggio di ritorno alla corteccia. Questi messaggi ascendenti rievocano lo schema corticale della memoria
emotiva originato nell’infanzia.
b. Una provocazione emotiva può creare un turbamento nel corpo. I centri del midollo (nucleo solitario e
nucleo dorsale-motorio) cambiano il nostro respiro, fanno battere rapidamente il nostro cuore o creano un
peso nella pancia. Questi sono gli effetti dei messaggi emotivi del Simpatico/parasimpatico diretti verso il
basso che giungono al midollo. Le funzioni dei centri cerebrali includono il controllo della respirazione,
frequenza del battito cardiaco, circolazione del sangue e attività gastro-intestinale incluso peristalsi e
secrezioni digestive.
c. Le emozioni regolate dal lobo frontale e dal sistema limbico possono inviare messaggi diretti verso il basso
all’ipotalamo e influenzare le sue varie funzioni. Quali funzioni? Secondo Ernest Rossi9 noi possiamo
osservare per lo meno sei funzioni dell’ipotalamo:
- regolazione del simpatico/parasimpatico
- secrezione ormonale (corticosteroidi, adrenalina, noradrenalina, tirosina, ormoni sessuali)
- sistema motorio
- sistema immunitario
- desiderio sessuale
- appetito
Così, tutte queste funzioni possono essere disturbate o alterate dalle nostre condizioni emotive.
Qui si osservano diverse situazioni specifiche: le emozioni croniche associate con intensa predominanza del
simpatico possono produrre ipertensione (produzione eccessiva di noradrenalina), senso della fame ridotto
e tensione addominale cronica ( blocco della peristalsi, movimenti agitati e impulsivi (sistema motorio non
coordinato), vulnerabilità alle infezioni e tumori (processi immunitari associati sconvolti, come Laborit ha
rilevato, con eccessiva secrezione di corticosteroidi che bloccano la sintesi delle proteine e perciò riducono la
produzione di anticorpi), mal di testa (tono muscolare aumentato con costrizione arteriosa) dolore cronico
alla schiena (tono muscolare aumentato con ridotta flessibilità delle articolazioni) etc.
Al contrario, qui ci sono numerosi risultati di emozioni croniche associate con la predominanza del
parasimpatico: passività cronica e depressione (tono muscolare indebolito, perdita di attivazione motoria),
obesità (aumento dell’appetito e perdita dell’attività motoria), apatia (diminuizione anormale degli ormoni
“tonificanti” dello stress, ridotta attivazione dei “sistemi corticali della motivazione mentale” della corteccia),
isolamento sociale (mancanza di “carica” o “iniziativa” riguardo agli interessi sociali e alla vitalità espressiva),
autostima diminuita ( perdita di competenza motoria, pensieri ripetitivi “autodenigranti” senza una
“mediazione contestuale” corticale.
“NODI” del sistema nervoso autonomo e sintomi psicofisiologici
Tuttavia potremmo ben ricordare, come indicato nella sezione precedente, che non è l’emozione dinamica
che crea questi sintomi fisiologici e psicologici, ma, piuttosto, l’emozione stagnante o cronica che non
riesce a sostenere l’ondata “intensificazione-riduzione”, in altre parole, è una perdita di reciprocità del
simpatico/parasimpatico.
Il lavoro terapeutico di rivitalizzazione delle reazioni emozionali ristabilisce questa alternanza
simpatico/parasimpatico, quindi potrà diminuire questi processi patologici: se il nodo emozionale non ha
ancora fatto soffrire la persona per molto tempo, se il problema emotivo non è ancora “strutturato
somaticamente” allora l’approccio terapeutico “per aprire le nostre emozioni” può agire come un effettivo
metodo di prevenzione e sostegno per il mantenimento di una buona salute.
2. Dalla Corteccia alla Sub-Corteccia ( dal fondo alla superficie)
L’ orientamento “recettivo” basato sull’ emozione
Schore descrive il percorso neuronale attraverso il quale le emozioni non cosciente (sistema limbico) inviano messaggi al lobo frontale Questi messaggi sono poi da lì inviati alla parte posteriore del cervello coinvolta nell’invio di segnali sensoriali e nella percezione. Le aree sensoriali posteriori sono “attivate” da questo segnale emozionale e tenderanno a favorire modelli di stimoli che corrispondano all’emozione. Così, la “paura della disapprovazione materna” (l’emozione) può attivare le aree sensoriali posteriori nelle quali “la faccia materna” o “il tono di voce della madre” diventano particolarmente presenti. Il bambino cerca “conferma” cioè, una “corrispondenza” della sua emozione di paura da una (anche sottile) disapprovazione espressa dalla faccia contratta o da un tono sgradevole. Ciò mostra la sensibilità acuta del bambino verso l’espressione della madre. In questo modo, l’emozione può condurre ad un orientamento percettivo che favorisce, attraverso circuiti di feedback, un rinforzo dell’emozione originaria. Questo assomiglia alla circolarità della “profezia autorealizzante”.
Attivazione insufficiente
Certi processi di depressione e apatia potrebbero essere dovuti ai meccanismi “dal fondo alla cima”.
Possiamo immaginare come una attivazione insufficiente dei processi del cervello basso ( che possono essere dovuti, come discuteremo più tardi, quando presenteremo la ricerca di Gerard Edelman, a una inibizione o perdita di attivazione motoria) può allora risultare come una insufficienza di messaggi attivanti inviati verso l’alto. Quali fenomeni clinici potrebbero apparire? Rallentamento del pensiero, percorsi mentali dispersi e non strutturati, percorsi di azione mentali rallentati e inibiti,mancanza di desiderio o interesse etc. Questi “percorsi interni” potrebbero poi creare un “percorso esterno” di “bassa energia”: voce sottotono, occhi con sguardo distante, gesti e movimenti appena visibili. Tutto questo può creare disinteresse oppure anche aggressività quando la “persona con bassa energia” incontra gli altri. La persona, come risultato, si sente rifiutata, l’autostima collassa e viene rinforzato il suo isolamento sociale, creando dunque un circolo vizioso tra vitalità bassa e isolamento sociale. Questa si chiama “la sindrome depressiva”. Altre situazioni anormali al’interno della corteccia sub-corticale — stati tossici, infezioni, anormalità metaboliche, ostruzioni cardiovascolari, stati di astinenza, tumori, isolamento sensoriale prolungato, effetti di droghe allucinogene e altre droghe, etc. –possono anche creare conseguenze verso la parte superiore e un grande raggio di disturbi, angoscia profonda, azioni imprevedibili, confusione mentale, allucinazioni, assenza mentale, etc.
In sintesi, il modello di Schore riguardante i centri neuronali simpatico/parasimpatico che interagiscono su molti livelli del cervello, offre una mappa neuronale per comprendere i vari e complessi fenomeni mente/corpo.
Interazioni Simpatico-Parasimpatico attraverso l’intero cervello
Il sistema motorio organizza la nostra attenzione
La ricerca di Gerald Edelman apre un’altra frontiera nel nuovo campo della “mappa del cervello”. Il lavoro di Edelman sottolinea l’importanza del sistema motorio per l’organizzazione della coscienza dell’attenzione10. Il disegno mostra come i neuroni motori che discendono dalla corteccia in modo da creare espressione e azioni (nervi del cranio per la testa, i nervi spinali per il tronco) inviino “collaterali” (strade laterali) ai gangli di base. Da questo complesso nucleare, i messaggi sono inviati al talamo.
Qual’è la funzione del talamo? Per decenni, si è pensato che il talamo agisse come la principale “prima stazione” nel cervello per i messaggi sensoriali. Messaggi sensoriali di diverso tipo propriocettivi, tattili – temperatura, pressione, dolore, etc. — salgono attraverso il cervello inferiore per mezzo del Sistema Reticolare Ascendente (RAS) fino a giungere a questa “prima stazione”, il talamo.
Da qui, i segnali neuronali sono inviati in alto, verso la corteccia sensoriale, dove essi si trasformano da “sensazioni” (prima corteccia sensoriale) a “percezioni” (corteccia sensoriale associativa). Così, il talamo possiede questo ruolo speciale di organizzare la nostra esperienza sensoriale, dirigendo la nostra attenzione cosciente verso una dimensione o l’altra a seconda del tipo di dati sensoriali.
Ma il segnale inviato dal talamo non si limita alle aree sensoriali corticali. Tutta la corteccia – parietale, temporale, aree frontali il giro del cingolo, corteccia entorinale, etc. — riceve messaggi attivanti e organizzanti dal talamo.
Così, mentre Schore ha enfatizzato che la presenza dei percorsi anteriori sub-corticali (non cosciente) portino alle aree corticali (non cosciente), più specificatamente, dal sistema limbico e dal sistema parasimpatico/simpatico del cervello più basso fino al lobo frontale, il lavoro di Edelman sottolinea una collocazione posteriore di percorsi: dalla RAS (input sensoriali) al talamo e da lì la diffusione di assoni per raggiungere le differenti aree della corteccia.
Per di più, sembra che il talamo abbia un potere maggiore nell’influenzare la coscienza e l’attenzione, data la sua complessità e l’ampia gamma di processi che si dirigono verso l’alto, rispetto alla connessione dal sistema limbico al sistema frontale.
L’importante contributo della ricerca di Gerald Edelman, per gli psicoterapisti, è che il talamo riceve un importante stimolo dalla ganglia di base! Ripetiamo la sequenza neuronale: neurone motore- ganglia di base -talamo-, ritorno alla corteccia. In sintesi, il sistema motorio influenza l’attenzione! Quando passeggiamo, portiamo un bicchiere d’acqua alle labbra, disegniamo una figura, guidiamo la macchina, anche leggendo questa pagina, noi abbiamo bisogno di dirigere la nostra attenzione verso la parte dell’ambiente con la quale interagiamo. Altrimenti, quanti errori anche le catastrofi!. Spesso mi stupisco di come le persone siano così precise mentre vanno di fretta sull’autostrada.” Hmm, “ penso, “il nostro sistema emotivo non lavora con la stessa precisione!”.
I percorsi dei neuroni motori per organizzare la nostra attenzione
Il sistema motore “sveglia” il cervello
Infatti, la connessione sistema motorio – gangli basali lavora non solo attraverso il talamo, ma genera un altro impulso che ha un effetto sull’intero cervello: dalla ganglia di base, noi abbiamo processi cellulari discendenti che raggiungono la substantia nigra e, da lì, che discendono ancora più profondamente nel <cervello basso> in modo da attivare “i nuclei del cervello basso”: locus cerule, nucleo di raphe, tegmentum, penulopontino, etc. Questi nuclei inviano in alto neurotrasmettitori – aceticolina, noradrenalina, dopamina, serotonina, colecistikinina — alle regioni sub corticali e corticali, dunque svegliando così l’intero cervello (11).
L’attivazione del sistema motore crea “arousal”
Così noi abbiamo una mappa che può spiegare ancora di più un importante principio psico-fisiologico che H. Laborit dichiarò trenta anni fa. (Anche il titolo del suo libro, “Azione Inibizione”, enfatizza questo principio fondamentale). La paralisi davanti allo stress è la pre-condizione della sofferenza emotiva.12 Ma mentre Laborit focalizza sulla dinamica interna del sistema limbico, in particolare, l’amigdala, l’ippocampo e il setto, e le loro connessioni discendenti all’ipotalamo, la più recente ricerca di G. Edelman amplia considerevolmente il quadro neuro-anatomico.
Ripetiamo la sequenza fondamentale:
L’azione stimola il cervello e organizza l’attenzione
Le emozioni sono “contenute” quando abbiamo un piano d’azione
Guardiamo cosa succede quando tentiamo di integrare “il modello simpatico/parasimpatico” di Schore e il “Modello dall’azione all’attenzione” di Edelman. L’implicazione diretta è chiara: quando uno stimolo emotivo diventa connesso a un piano d’azione, il campo di attenzione integra consapevolezza delle emozioni (essenzialmente, un processo del lobo frontale) con attenzione orientata dall’azione (essenzialmente un processo del talamo). La persona può sentirsi stressata dagli stimoli emotivi, ma non si sentirà sopraffatta, intensamente turbata o acutamente angosciata. Il piano del sistema motorio contiene ’emozione, mantenendo una parte di consapevolezza su “il compito da svolgere”.
Ma che cosa succede quando una provocazione emotiva capita e per la quale sembra non esserci risposta o soluzione? A questo punto il principio del Prof. H. Laborit entra in gioco :“la paralisi che subiamo quando siamo faccia a faccia con lo stress, ci fa male”. Più precisamente , quando la paralisi si prolunga, ci fa male (La paralisi breve ci serve come momento di orientamento). La persona può avvertire un’ intensa angoscia, senso di disperazione e mancanza di speranza. Se questa persiste, possono apparire i sintomi di una grave depressione, oppure, sintomi somatici quali dermatiti, ulcera gastrica, asma, possono manifestarsi coliti e ipertensione arteriosa, dunque producendo sintomi di una malattia psicosomatica.
Esaminiamo il risultato molto differente tra “stress emotivo senza un progetto d’azione” e “lo stress con un progetto d’azione”. Se non c’è progetto di azione, “nessuna via d’uscita” “nessun modo di reagire davanti al problema”, la persona può sentirsi: confusa, ansiosa o in preda al panico. Si può avere la sensazione di “terreno mancante sotto i piedi” oppure”una pressione dentro al petto” o anche “un sasso nello stomaco”. La nostra interpretazione: Abbiamo una intensa reazione parasimpatica che coinvolge soprattutto il tratto gastro-intestinale. Forse c’è accumulo di sangue nel sistema gastro-intestinale mentre la peristalsi è bloccata, le secrezioni si accumulano e il tono dei muscoli volontari è assente.- tutti esempi di un sentimento di “collasso”: “E’ troppo!” “Sono schiacciato!” “E’ successo il peggio!”
Schore dimostra che questo tipo di reazione parasimpatica può derivare da uno stress intenso e/o prolungato nel tempo che origina nella prima infanzia. Questo è chiamato “trauma”. Perché l’ esperienza infantile è così profonda? Così durevoli i suoi effetti? Schore adduce ricerche in letteratura dimostranti che il sistema parasimpatico del bambino si sviluppa durante il periodo di vita che va dai 16 ai 22 mesi13. Questo ha un grande impatto sulla crescita emotiva e comportamentale del bambino. Se il bambino è sottoposto a frequenti e intensi traumi emotivi, come a costanti rifiuti o punizioni da parte della madre, o da chiunque rappresenti la figura genitoriale di cura, potrà essere notato, nell’età più avanzata della vita una particolare vulnerabilità allo stress emotivo e la tendenza fin da giovane al collasso: “Non ce la faccio”.
Integrando l’analisi psicologica e neuro-anatomica di Schore con quella di Edelmann possiamo formulare uno scenario più completo. Che cosa succede quando lo stimolo emotivo legato al trauma coinvolge i percorsi parasimpatici e non ha mediato programma di azione con la ganglia di base? A questo punto i messaggi dal sistema limbico al lobo frontale si estendono al resto della corteccia. Dato che non c’ è un piano di azione (dalla ganglia di base) che organizza il talamo, anche l’ attenzione diventa disorganizzata.
L’attenzione travolta dall’emozione o “contenuta” dall’azione
L’emergenza emotiva regola lo schema talamico dell’attenzione
Un altro meccanismo è anche possibile per spiegare “l’attenzione interrotta dall’emozione intensa”. Poiché il sistema limbico ha anche connessioni neurali con la ganglia di base e il talamo, è possibile che le “emozioni dirompenti” interrompano anche direttamente le normali connessioni talamo- corteccia. Questo meccanismo nel quale le emozioni disturbano direttamente l’organizzazione talamica dell’attenzione è suggerito dalle ricerche condotte da Quarti e Reynaud 14. I loro studi sull’EEG suggeriscono ciò che segue: Le funzioni talamiche sono di solito dominate dai grandi, laterali, separati nuclei talamici. Questi nuclei integrano l’entrata sensoriale della RAS (Sistema Reticolare Attivante) che arriva dal di sotto e mandano su messaggi ben organizzati alla corteccia. In più, il funzionamento di questo “preciso” sistema talamico è associato ai feedback provenienti dalla corteccia e con un’azione integrata delle diverse aree corticali. In questo modo, l’intero sistema è in armonia e adattato alla complessità. Ma quando il sistema limbico di base invia messaggi di forte stress, di emergenza al talamo, noi notiamo uno spostamento nelle funzioni talamiche. Invece di venir stimolati i grandi nuclei laterali discreti, vengono attivati nuclei “diffusi” della linea centrale. Quest’ ultimo gruppo di nuclei funziona in modo diverso: Esso invia messaggi “diffusi” alla corteccia. Quindi anche l’organizzazione corticale dell’attenzione diviene “diffusa”. Oltre a questo, quando i nuclei diffusi della linea di mezzo del talamo diventano attivati, essi bloccano il feedback dalla corteccia. Questo arresta la regolazione del feedback. E, per peggiorare le cose, questi nuclei bloccano anche l’interazione tra le diverse aree corticali, cosicché i nostri pensieri sono spinti verso una semplicità primitiva e impedisce una complessa valutazione della situazione provocatoria. In sintesi, l’emergenza emotiva crea uno stato di alta vigilanza, ma con perdita di complessità e armonia.
Possiamo capire l’utilità di questo sistema di emergenza per brevi, rapidi adattamenti, ma se l’emergenza emotiva diventa prolungata, il risultato sarà un restringimento dell’attenzione coscientia e del comportamento adattabile.
Stress emotivo basso: attenzione complessa
Stress emotivo alto: attenzione semplificata
Così, abbiamo proposto due meccanismi attraverso i quali il sistema libico, quando funziona eccessivamente, può bloccare il normale sistema talamico di attenzione organizzato dall’ azione.
Primo, l’assenza di una strategia d’azione impedisce alla ganglia di base di fornire messaggi organizzativi al talamo e, come compensazione, permette ai lobi frontali “uno straripamento di emozioni”.
Secondo, lo stress emotivo del sistema limbico direttamente disturba le funzioni talamiche (Quarti e Reynaud). Che sia l’uno o tutt’e due i meccanismi in gioco, il disturbo che risulta è chiaro: Quando noi ci confrontiamo con un intenso stress emotivo e, allo stesso tempo “non sappiamo come gestirlo”, cioè quando è assente un piano di azione di controllo dell’attenzione, la corteccia può essere bombardata da messaggi emotivi senza “ritegno, riserbo” o senza “limiti” che di solito un piano di azione normalmente produce. Esperienze traumatiche e altri forti stress emotivi funzionano in questo modo.
Ritorniamo ora a Edelman in modo da arricchire ancora ulteriormente ciò che sappiamo su come “l’inibizione all’azione” alteri i funzionamenti cerebrali. Abbiamo menzionato precedentemente la scoperta di Edelman, che dice che la ganglia di base inviano anche messaggi discendenti ai nuclei del cervello più basso: sostanza negra, locus ceruleus, nucleo di raphe, nucleo pendulo pontino e tegmentum. Questi nuclei, normalmente attivano l’intero cervello al fine di inviare vari neurotrasmettitori che vanno verso l’alto: colinergici, catecolinergici, dopaminergici etc.. Però se una persona brava prova un senso di paralisi, quando si trova a fronteggiare una situazione di stress, “l’ipotesi di Laborit sull’inibizione all’azione”, anche questo normale meccanismo di attivazione del cervello è represso. E il risultato? La capacità del cervello di integrare interazioni complesse e di considerare la situazione di stress in termini concreti e di sequenza diviene significativamente diminuita. La persona può sentire, in questa circostanza di “stress senza soluzione” uno stato di urgenza, ma il pensiero diviene paralizzato così come l’azione. “Non potevo pensare chiaramente!” “ La mia mente diventò completamente vuota!” “Mi sentivo congelato dalla paura!” “Mi sentivo perduto nel caos!”
Azioni intenzionali (lobo frontale) e azioni abituali (ganglia di base e cervelletto)
Il lavoro di Edelman mostra come i neuroni motori dalla corteccia motoria creano connessioni con la ganglia di base e così influenzano i percorsi talamici dell’attenzione e i processi di attivazione dei nuclei del cervello basso. Significa che solo l’azione in se stessa, quando è eseguita, può creare questa connessione tra neuroni motori- gangli basali? O potrebbe essere possibile che la consapevolezza psicologica “So cosa faccio, ho un piano di azione” può esercitare da sola un impatto su la ganglia di base? La ricerca su“nuove azioni” contro “azioni abituali” ha mostrato un interessante percorso del cervello. L’ ”azione nuova” è connessa con i processi del lobo frontale. Sappiamo che il lobo frontale regola sia le funzioni emotive che le strategie d’azione. Ciò che sembra accadere è che il nuovo piano di azione è concettualizzato nel lobo frontale e la strategia è allora inviata posteriormente alle aree motorie in modo che l’azione possa essere svolta. Nonostante questo, la nuova azione sarà compiuta con esitazione, fatica, sicuramente con disagio e con un certo grado di incertezza. Dopo che l’azione è svolta un numero di volte, diventa più rapida e precisa. In una parola, diventa “un abitudine”. E cosa succede nel cervello? Il lobo frontale mostra un funzionamento diminuito mentre la ganglia di base mostrano un incremento di funzionamento. Questo significa che il passaggio da un’azione intenzionale compiuta per la prima volta a un’”azione abituale” compiuta per la ventesima volta, coinvolge un cambiamento di funzione, dal lobo frontale alla ganglia di base.
( Un articolo, “il cervelletto”, pubblicato in Quaderni di Scienza, chiarisce come il funzionamento della ganglia di base sia associato con i processi del cervelletto. Perciò, quando parliamo di “abitudini” stiamo parlando di “routine” che coinvolge la ganglia di base del cervelletto (15)).
Dall’ “Azione intenzionale” all’ “Abitudine”
Dunque, quando l’azione che risolve lo stress emotivo è un’azione abituale piuttosto che “della prima volta”, c’è un maggiore coinvolgimento della ganglia di base e quindi, il meccanismo descritto a proposito del “contenimento” emotivo della ganglia di base è più efficace. Una conseguenza clinica: eseguire una nuova azione durante una seduta terapeutica, per esempio un “role playing” di una nuova iniziativa o di un nuovo tipo di comunicazione praticato diverse volte, può portare il paziente a sentirsi “più sicuro di sé” quando anticipa le circostanze che creano lo stress. ( Esempi: praticando un nuovo tipo di comunicazione con il proprio capo, con il collega, con i familiari, con lo sposo, etc).
Facciamo un passo ulteriore: la ganglia di base non solo sono coinvolti quando noi realmente facciamo un’azione abituale, ma solamente pensare all’azione può stimolare “la routine” della ganglia di basecervelletto. Questa idea è sostenuta dagli esperimenti classici di Jacobsen nei quali “le azioni immaginate” sono accompagnate da contrazioni dei muscoli coinvolti.16 In conclusione che i meccanismi del cervello che accompagnano un’azione immaginata sono simili ai meccanismi del cervello chiamati ad entrare in gioco al momento che l’azione è realmente svolta.
Questo significa che l’immaginazione di un’azione abituale, come un’effettiva risposta a una situazione di stress, creerà più contenimento emotivo che l’immaginazione di un nuovo piano di azione. La conseguenza clinica è sempre la stessa: praticare la nuova azione fino a sentirla abituale; E se non è possibile l’attuazione pratica, immaginare la nuova azione un numero di volte fino a sentire la sequenza “immaginata” come “naturalmente facile”, cioè, quasi come un’abitudine.
Sintetizziamo l’ argomento principale basato sull’integrazione dei modelli del cervello proposto da Schore e Edelman: quando la nostra emozione è associata con un piano di azione, l’emozione sarà contenuta. Ci sentiremo stressati, ma non ci sentiremo eccessivamente disturbati, sopraffatti. La nostra autostima si manterrà in equilibrio perchè ci sentiremo sicuri della nostra competenza. Invece, quando noi fronteggiamo una situazione intensamente stressante e, contemporaneamente, non sappiamo in che modo reagire, le nostre emozioni possono prendere il sopravvento su di noi. Possiamo sentire angoscia, impotenza, panico, etc e se non c’è soluzione, possiamo entrare in uno stato di ansietà cronica o depressione.
I Disordini Ossessivi-Compulsivi
Un’ipotesi interessante basata sulla mappa neurologica di Edelman coinvolge il meccanismo dei disturbi ossessivi-compulsivi.11 Se rimaniamo dentro i limiti del modello di Schore, un disturbo ossessivo-compulsivo sembra di coinvolgere esclusivamente circuiti neuronali che connettono il sistema limbico e il lobo frontale e, da qui, altre tracce ripetitive che connettono il lobo frontale due aree posteriori: 1. All’ area motoria per disturbi compulsivi e 2. Al lobo parietale per disturbi concettuali.
La mappa neurologica di Edelman offre un’altra possibilità: che le tracce neuronali per i pensieri ripetitivi coinvolgono “routines” della ganglia di base e cervelletto (il lobo frontale e l’amigdala, entrambi, hanno connessioni strette con la ganglia di base).
Perché la connessione gangli basali-cervelletto è un’ipotesi così interessante? Perché queste aree del cervello mostrano un’architettura in cui le tracce neurali vanno in parallelo, mentre altre zone del cervello, soprattutto la corteccia, presentano un’architettura a forma di rete. Tutto questo ha un senso funzionale.
L’architettura della ganglia di base-cervelletto deve sostenere le routines dell’azione che sono specifiche e sequenziali 18.Un’architettura “a rete“ darebbe come risultato azioni confuse con strategie di sovrapposizioni e piene di errori. In questo modo le specifiche e ripetibili “routines” organizzate dalla ganglia di base/aree del cervelletto possono essere responsabili dell’implacabile ripetizione delle azioni compulsive e dei pensieri ossessivi. L’idea che i disturbi ossessivi-compulsivi possono essere basati dalla routine della sottocorticale piuttosto che dalle ripetizioni corticali può aiutarci a capire l’inaccessibilità di questo problema per il cambiamento razionale (corticale).
Esperienze Traumatiche e Perdita del Linguaggio
Una ricerca specifica citata da Bessel Van Kolk offre un’interessante prospettiva riguardante il problema del trauma emotivo. Van Kolk scoprì che quando un paziente richiama un episodio traumatico, il sistema limbico (specialmente l’amigdala, che è nota per mantenere “tracce indelebili nella memoria”) e il lobo frontale mostrano un aumento di funzionalità. ( Ciò è dimostrato, attraverso il Neuroimaging, dall’incremento di afflusso di sangue in queste regioni). Contemporaneamente, l’area di Broca, mostra una diminuzione di flusso sanguigno19. Così l’esperienza traumatica è “schiacciante” non solo a causa della sua intensità, ma perché le funzioni del linguaggio, che possono delineare e contenere le emozioni, sono momentaneamente “guastate”.
L’implicazione terapeutica è chiara: il processo psicoterapeutico di “mettere l’esperienza emotiva in parole”, è un metodo per risvegliare le funzioni del linguaggio, così da contenere il trauma con linguaggio verbale:”Se metto questo in parole, io posso gestirlo”
L’Esperienza Traumatica
I Movimenti Ritmici che portano dal Parasimpatico al Simpatico per Diminuire il Trauma
Francine Shapiro propone un altro metodo per “contenere” le emozioni traumatiche. Nel suo libro “ Eye Movement Desensitisation and Reprocessing (E.M.D.R.)20, la Dott.ssa Shapiro presenta un metodo specifico per superare flashback e altre conseguenze della “sindrome di reazione post-traumatica”.. La Dott. ssa Shapiro chiede ai suoi pazienti, per prima cosa, il permesso di rivivere l’episodio traumatico a un livello tollerabile. Nel momento in cui questa esperienza dolorosa viene sentita, la Dott.ssa Shapiro chiede ai suoi pazienti di fare una serie di movimenti “giù e su” con gli occhi. Questi movimenti sono regolari nel ritmo e nell’intensità. La Dott. Shapiro propone che questi movimenti degli occhi “disconnettano” l’immagine del trauma dal disturbo emozionale doloroso e sconvolgente.
Nella seconda parte del libro, la Dott. Shapiro suggerisce che anche altri tipi di gestualità e movimenti corporei potrebbero avere simili effetti benefici. Nella Scuola Biosistemica, abbiamo visto che i gesti che corrispondono a ciò che il paziente verbalizza – specialmente se questi gesti sono regolari nel ritmo e nell’intensità- sembrano poter “contenere” l’esperienza traumatica straripante e, quindi, creare effetti benefici.(21)
La nostra mappa neurofisiologica può spiegare questa ipotesi terapeutica? Torniamo all’ipotesi di Schore, possiamo capire che l’esperienza traumatica coinvolge una potente reazione parasimpatica.(22) La persona si sente “perduta” nell’emozione viscerale di spavento, panico e immagini bombardanti.
Come i movimenti ritmici, effettuati durante la memoria dolorosa dell’esperienza traumatica, possono diminuire questo disturbo? Per prima cosa, abbiamo già detto che la ganglia di base può influenzare l’organizzazione talamica dell’attenzione. Abbiamo anche suggerito come questo può controbilanciare i processi emotivi senza confini del sistema limbico/ lobo frontale. In secondo luogo, l’azione muscolare e il tono simpatico vanno per mano. (Gellhorn aveva proposto questa interazione funzionale tra il sistema nervoso autonomo e il sistema motorio).
Dunque, il ritmo regolare e l’intensità dei gesti espressivi possono “spostare” i processi autonomi dal parasimpatico al simpatico. Il processo parasimpatico “senza cofini” diviene “contenuto”, almeno parzialmente, dal processo strutturante simpatico.
La Dott.ssa Shapiro sottolinea un punto importante che integra le dinamiche neurofisiologiche con i principi clinici: per ottenere effetto terapeutico, il percorso neuronale del trauma deve essere cambiato! La sensazione di impotenza dell’esperienza traumatica (percorso neuronale del sistema limbico/lobo frontale) deve divenire connesso a un piano di azione. (Questi meccanismi coinvolgono la ganglia di base e il cervelletto). Per creare questa connessione l’esperienza traumatica deve essere rivissuta, e nello stesso momento, il piano di azione “simpatico-muscolare” deve essere attivato. L’arte terapeutica implica questo doppio movimento: il paziente vive due dimensioni – trauma e azione – e così una connessione neuronale viene stabilita, che diminuisce, per il futuro, l’impatto devastante e fuori controllo della memoria traumatica. Se questi due eventi – trauma e azione – sono vissuti in due diversi e separati momenti, la connessione non sarà stata effettuata.
Questa strategia terapeutica fu suggerita anche nella Programmazione Neurolinguistica (PNL).23 In più, nell’articolo “La Parola Chiave” (vedi J. Liss, 1996) fu presentato lo stesso modello neuronale e la stessa strategia terapeutica, appunto occorre rivivere il disturbo emotivo seguito subito da un efficace piano d’ azione temporale (24).
L’Approccio di Albert Pesso:” L’Esperienza Emotiva Correttiva”
Ma l’unica maniera di cambiare l’impronta traumatica è la strategia d’azione?
Un approccio alternativo è visto nel lavoro clinico di Albert Pesso ( che lavora in associazione con il Prof. Bessel Van Kolk a Boston, Massachussetts). Il Dott. Pesso aiuta le persone a rivivere gli episodi traumatici con un dosaggio tollerabile. ( Noi vediamo anche questo principio terapeutico di ri-vivere episodi traumatici in “dosaggi tollerabili” nei filmati presentati dal Prof Van Kolk. La terapista è la Dott.ssa Pat Ogden) L’originale contributo del Dott Pesso è di chiedere alla persona di creare “una figura ideale di sostegno”. Questo può essere “una madre ideale” o “un padre ideale” (25). Questa figura ideale è rappresentata nel gioco di ruolo da un membro del gruppo, entrerà in scena mentre il protagonista sta rivivendo l’esperienza traumatica..
Il Dott. Pesso propone, in termini molto chiari, “Lascia entrare questa figura simbolica, questo genitore ideale, dentro il tuo mondo nel preciso momento in cui stai rivivendo il trauma. Il nostra obiettivo è cambiare il ricordo!”
Franz Alexander nel suo libro famoso, Medicina Psicosomatica, propone una strategia terapeutica simile. Ha chiamato questo approccio “l’esperienza emotiva correttiva” (26).
Riassumendo, questo metodo terapeutico è mirato ad aiutare la gente che è stata devastata da esperienze traumatiche, ricordi dolorosi che continuano a riemergere nella coscienza. Insomma, questo metodo, “l’esperienza emotiva correttiva”, collega i circuiti neuronali dell’esperienza traumatica ad una esperienza positiva di sostegno. Così , un effettivo approccio terapeutico può interrompere gli effetti patologici e debilitanti di una esperienza traumatica, anche quelli originati nell’infanzia. Come disse una paziente “ Ho nuove prospettive di vita!”
RIASSUNTO
Questo articolo presenta diversi modelli neurofisiologici che originano da studi di ricerca condotti negli ultimi 30 anni. Per ripetere la nostra premessa epistemologica: Tali modelli non sono considerati come “veri”, dal momento che saranno ancora modificati negli anni a venire. Molto importante, “le applicazioni cliniche” non sono né “giuste” né “sbagliate”, ma si rivelano, attraverso la pratica, “vantaggi e svantaggi” . I Metodi clinici iniziano come “intuizioni” terapeutiche.
Insomma, quando gli studi della ricerca corrispondono a certe intuizioni terapeutiche il clinico è incoraggiato ad approfondire ulteriormente le sue intuizioni metodologiche. Così noi abbiamo un gioco di reciprocità positivo tra i metodo terapeutico e la ricerca neurofisiologica.
Un altro argomento, non sviluppato in questo articolo è il seguente: Quelli che fanno ricerca nella neurofisiologia delle emozioni, possono essere stimolati dal lavoro clinico dallo psicoterapista. Per esempio, certi principi sulla trasformazione delle emozioni, possono suggerire nuove ipotesi sul processo emotivo che saranno evidenziati con le nuove tecnologia di Neuroimaging. In questo modo noi possiamo sviluppare una “reciprocità positiva” tra lo scienziato e il clinico.
Prof. Jerome Liss M.D.
Il Professor Jerome Liss ha studiato medicina all’Albert Einstein College of Medicin e psichiatria presso Harvard University (Boston). E’ Direttore della Scuola Italiana di Biosistemica. È consulente per il World Food Program (Onu).
Autore di vari libri tra cui “Comunicazione Ecologica” (ed. Meridiana), “Apprendimento Attivo” (ed. Armando), La Terapia Biosistemica (curato con il Prof. Maurizio Stupiggia, ed. Franco Angeli) e L’Ascolto Profondo (ed. Meridiana).
Prof. Jerome Liss, M.D.
Piazza Santa Maria Liberatrice, 18
00153 Roma
Tel. 06/5744903
j.liss@fastwebnet.it
Bibliografia
1 Liss, Jerome, ” The Philosophy of Science and the Clinical Researcher: A Proposal for a New Scientific Psychology,” published in Italian: “Filosofia della Scienza e la Ricerca Clinica: Una Proposta Per una Psicologia Scientifica Nuova,” in Psicologia Clinica (ed. Prof. Mario Bertini, Università di Roma “La Sapienza”), Vol. 2, No. 2, May-August, 1983, pp. 143-163, and in La Psicoterapia del Corpo, (by Liss, Jerome and Boadella, David), Rome, Ed. Astrolabio, 1986, Chapter XIV.
2 Edelman, Gerald M., The Remembered Present, A Biological Theory of Coscientiousness, BasicBooks, 1989.
3 Hyerle, David, Visual Tools for Costructing Knowledege, Alexandria, 1996. 4 Gellhorn, Ernst, Principles of Autonomic-Somatic Integration: Physiological Basis and Psychological and Clinical Implication, Minneapolis, University of Minnesota Free Press, 1967.
5 Liss, J., Il sistema nervoso autonomo nelle turbe emotive e in condizioni di emotività normale, in Boadella D. e Liss J., La psicoterapia del corpo, Roma, Astrolabio,1986, pp.80-91.
6 Liss, Jerome, “Dal Problema alla Soluzione” Cap. 4, L’Ascolto Profondo, nelle Relazioni di Aiuto, Ed. La Meridiana, Molfetta 2004.
7 Schore, Allan N., Affect Regulation and the Origin of the Self (The Neurobiology of Emotional Development), Lawrence Erlbaum Associates, Publishers, 1994.
8 Liss, Jerome, “The Systems Model Applied to Bioenergetic Therapy, Psychology and Psychosomatic Medicine,” Energy and Character, Vol. 13, No. 2, August, 1982, pp. 12-28, and Vol. 14, No. 1, April, 1983, pp. 18-36; Liss, Jerome, “Psychothérapie et Psychanalyse: La Complexità en Question,” Le Journal des Psychologues, No.19, Juillet- Aout, 1994, pp. 45-48.
9 Rossi, Ernest, La Psicobiologia della Guarigione Psicofisica, Rome, Ed. Astrolabio, 1987.
10 Edelman, op. cit. pp. 202-204
11Edelman, Gerald M., and Tononi, Giulio, A Universe of Coscientiousness, (traduzione italiana, Un Universo della Coscienza, ed. Einaudi, 2000), New York, Basic Books, 2000.
12 Laborit, Henri, L’Inibizione dell’Azione, (traduzione di A. Meluzzi) Milano, Il Saggiatore, 1986.
13 Schore, op. cit., pp.16-22.
14 Quarti, C. and Renaud, J., Neurophysiologie de la Douleur, Paris, Hermann, 1972.
15Joaquin M. Fuster,La Localizzazione della memoria, Le scienze edizione italiana di Scientific American n°14 inverno 2002 pp 12/20
16 Jacobsen, E., Biology of Emotions, Springfield, Charles C. Thomas Pub., 1967.
17 Edelman, op. cit.p. 217
18 Fuster,op. cit. p. 18
19 Van der Kolk, Bessel A., Traumatic Stress, The Guilford Press, 1996.
20 Shapiro, Francine, Eye Movement Destination and Reprocessing, New York, The
Guilford Press, 1995.
21Shapiro, op. cit., p.314.
22Bandler, R. e Grinder, J., Frogs Into Princes, Neurolinguistic Programming, Moab, Utah, Real People Press, 1979.
23 Bandler, R. e Grinder, J., op. cit.
24 Liss, Jerome, “Key Words for Unlocking Our Uncoscientious,” in Energy and Character, (editor: David Boadella) Vol. 29, No. 2, Dec., 1998, pp. 79-93.
25 Pesso, Albert, “The Effects of Pre- and Peri-Natal Trauma,” Energy and Character, Vol. 22, No. 1, April, 1991.
26 Alexander, Franz, Psychosomatic Medicine, New York, W.W. Norton Pub., 1950