LA CURA DELLA FASCIA – INTERVISTA A LUIGI STECCO

(tratto dal sito www.fascialmanipulation.com – publicato su Vita & Salute, aprile 2003)

Manus sapiens potens est : solo una mano, guidata da profonde conoscenze scientifiche, può risolvere bene e velocemente un problema muscolo-scheletrico.

Più si hanno conoscenze, più si riesce a risalire alla causa di un dolore e di una disfunzione articolare. Non c’è niente di magico. A parlare così è Luigi Stecco, un fisioterapista vicentino, diploma universitario di fisioterapia, studi di mobilizzazioni articolari, massaggio connettivale, agopuntura e autore di Manipolazione della Fascia (editore Piccin, pp. 224, curo 46,48). Stecco ha portato in primo piano l’importanza della fascia nel trattamento delle affezioni muscolo-scheletriche.
Dopo aver manipolato migliaia di pazienti nella sua trentennale pratica nell’ospedale di Arzignano (VI), nella sua attività privata e in corsi di formazione per fisioterapisti e medici, ha elaborato i fondamenti tecnici di un nuovo metodo riabilítativo che vede proprio nella fascia il punto nodale per risolvere i comuni mal di testa, disturbi osteo-mio-artícolari, mal di schiena, disfunzioni intenistiche e nel recupero post-chirurgico e post-traumatico degli atleti.

Vita & Salute lo ha intervistato.

Può spiegarci semplicemente che cos’è la fascia ?

«Ci provo. E’ un insieme membranoso molto esteso, composto da tessuto connettívo, che mette in collegamento tutte le parti del corpo, rivestendo i muscoli e invaginandosi tra le fibre muscolari. La fascia è una membrana che si stende su tutto il corpo immediatamente sotto la pelle. Mentre la pelle ha funzione percettíva, ríparativa ecc, la fascia ha una fiinzíone di collegare, coordinare un’articolazione con l’altra, di coordinare l’insieme del corpo.
Quindi sincronizza l’azione di ciascuna parte del corpo con il tutto. Più semplicemente è quella membrana bianca che contorna i muscoli. La membrana, per fornire un ulteriore chiarimento, corrisponde alle fibre collagene bianche che avvolgono la carne che si compera in macelleria. Viene chiamata anche fascia di contenzione proprio perché avvolge il muscolo».

 

Qual è la sua funzione?

«Per la medicina ufficiale ha sempre avuto, appunto, un ruolo di contenzione, di riempimento. Oggi le cose sono cambiate. Si è visto che essa si espande all’interno del muscolo con il perímisio e con l’endomisio. Queste espansíoni trasmettono alla fascia profonda la contrazione della singola fibra muscolare. In conseguenza di tali collegamenti la fascia diventa il direttore di orchestra che sincronizza il crescendo di alcuni muscoli e il diminuendo di altri. Il risultato di questa armonia è il gesto motorio».

Dove è la novità?

«Finora il compito di sincronizzare il movimento era attribuito esclusivamente al sistema nervoso. Ma a un certo punto i neurofisiologi stessi hanno cominciato a domandarsi come potesse il cervello controllare tutte le variabili che ci sono in un gesto motorio. Così approfondendo si è visto che queste variabili possono essere coordinate dalla fascia, dal tensionamento di questa membrana su cui sono inserite tutte le fibre muscolari. Se la membrana, che è l’elemento coordinante, diventa più rigida, più rugosa, più densíficata l’effetto inevitabile è la scoordinazíone motoria. La causa della densíficazione della fascia va ricercata in traumi, sovrauso (per esempio il gomito del tennísta), lavori duri, cattivo stile alimentare. Preciso. A densificare la membrana sono soprattutto tre fattori: meccanico (sovrauso), chimico (l’alimentazione) e i fattori fisici come il freddo e il vento che rendono meno fluida la membrana e la rendono meno irrorata dal sangue».

Cosa si intende per densificazione?

«Non è altro che un accumulo di neocollagene prodotto dalla fascia per riparare le lesionì dovute, come abbiamo già accennato, a eccessive sollecitazioni meccaniche, chimiche e traumatiche. Questa riparazione o compenso serve a dare un precario equilibrio all’organismo. L’equilibrio che ne deriva non è fisiologico per cui spuntano alterazioni  strutturali e funzionali, nonché sindromi dolorose».

In parole povere, cosa comporta la densificazione?

«Quando la membrana è meno elastica, perde la sua futizione di coordinazione sui muscoli e quíndi il movimento è meno libero. Un bel giorno ci si alza, al mattino, e ci si sente rigidi e duri nei movímenti. Il motivo? Molto probabilmente l’articolazione è stata mossa in un modo non fisiologico, poco naturale e così fa capolino la rigidità e dopo un po’ arriva il dolore. La causa, è d’obbligo ripeterlo, non è da ricercare nell’articolazione ma nella fascia. Questo, però, è un vantaggio dal punto di vista terapeutico perché la fascia si può manípolare. L’osso, il muscolo, il nervo non sono malleabili dall’esterno, non sono deformabili».

E’ giusto parlare di un approccio che ribalta la visione fisioterapica?

«Sì. La novità del metodo sta nel concentrare l’attenzione non sull’articolazione ma sui motori che muovono l’articolazione e tra questi motori una notevole importanza coordinante c’è l’ha proprio la fascia. Ecco perché i punti o i centri posizionati sulla fascia li chiamo centri di coordinazione. Coordinano le fibre muscolari verso un movimento specifico, verso un’attività».

Può essere più chiaro?

«Nella fascia ci sono diversi centri di coordinazione, che coincidono spesso con i punti di agopuntura, preposti alla coordinazione del movimento articolare. La loro densificazíone crea nell’articolazione il dolore riflesso. Non a caso la manipolazione della fascia ha un grande effetto preventivo. Per ríequilibrare le diverse strutture corporee occorre sciogliere lentamente le rugosità che si sono formate».

Dunque ci si può sottoporre alla manipolazione anche quando si sta bene…

«Le cose non stanno proprio così. Noi agiamo quando il corpo manda un segnale, dobbiamo avere un minimo segnale. Può essere di rigídità. Spesso è il dolore che ci dice che qualcosa non va. E’ un vero e proprio campanello di allarme. Dunque, non è consigliabile ingurgitare analgesíci per coprire il sintomo. Servono soprattutto a ostacolare la guarigione perché è “coperta” la richiesta di aiuto che arriva dal corpo attraverso il dolore. In definitiva, non c’è intervento curativo e a lungo andare si finisce sotto i ferri del chirurgo. Se non si coglie il segnale di dolore che proviene dall’anca e dal ginocchio, dalla caviglia, tanto per fare qualche esempio, con il tempo questa scoordinazione motoria provoca l’artrosi, il menisco si rompe, l’anca si deforma e tanto altro».

Dove sta la differenza con altri metodi?

«Non interveniamo dove l’artícolazione è sofferente ma saliamo lungo il muscolo che determina l’infiammazione dell’articolazione».

Come si svolge la manipolazione?

«E imperativo tener conto della parte del corpo interessata. Per il collo si usano dita e polpastrelli, per il tronco, in genere, si usa il gomito, più o meno chiuso secondo la profondità che si vuole raggiungere nella fascia. In altre parti si usano le nocche delle dita (gambe, piedi, dove l’attrito è in punti ben delimitati). La pressione su un punto non può andare oltre i 10 minuti. Si preme e ci si sposta perché lo scopo della manipolazione è quello di creare un calore locale che va a modificare la consistenza della sostanza fondamentale della fascia per renderla più fluida, più scorrevole. Cioè per favorire lo scorrimento fra i muscoh e le fibre muscolari. Se questo effetto viene a mancare e il muscolo non può lavorare secondo la fisiologia, lentamente è danneggiata l’articolazione. Quindi noi sciogliamo, ovvero rendiamo più fluida la sostanza fondamentale della fascia, per utilizzare una terminologia più scientifica. Alla normalizzazione segue un miglioramento evidente a carico della funzionalità muscolare e articolare. Infatti, permettendo alle fibre muscolari una contrazione corretta, anche le articolazioni possono riacquistare i gradi di movimento fisiologico».

Quanto dura la terapia?

«Le sedute hanno una cadenza settimanale e non durano più di mezz’ora. Innanzitutto, per avere un risultato curativo occorre comprendere in modo perfetto dove è il punto preciso che crea il dolore. Dal sintomo si capisce qual è il punto da trattare, senza bisogno di radiografie. La lastra mette in evidenza l’osso e l’articolazione e dunque il danno articolare. Noi, invece, dobbiamo risalire alla causa, cioè al blocco della fascia che non si può vedere con radiografia, risonanza e Tac. Si fanno verifiche motorie: per esempio, se il cliente lamenta mal di schiena io lo faccio piegare in avanti, di lato e in rotazione. L’intento è verificare come vengono eseguiti i movimenti sui tre píani dello spazio. In questo modo riuscirò a definire quale unità mio-fasciale è responsabile del dolore».

 

Vita & Salute, aprile 2003, intervista di Massimo Ilari.